domenica 16 ottobre 2005

Gianmaria Giannetti

Al mio amico Gianmaria guardando la sua pittura
Io credo che la pittura, proprio l’atto del dipingere e tutti i suoi materiali, le tele i pennelli i colori i solventi gli odori, le ore passate in solitudine dentro se stessi, magari con la musica anche, è una specie di droga fantastica. E una volta che l’hai provata e ti è entrata nel sangue non puoi farne più a meno. Soppianta un po’ tutti gli altri enzimi, comanda la ghiandola pineale, e come con l’eroina, il solo antidoto alla pittura è la pittura stessa.
Credo che si diventa artisti per darsi delle regole, per trovare un modo di stare al mondo secondo regole che ci diamo noi, che stanno bene a noi. Contro le regole del mondo. Un artista, come uno scrittore, se è davvero tale (se fa sul serio, se non è solo uno che passa il suo tempo a buttare giù colori su una tela o a riempire i fogli con le sue cazzate) compie una specie di cammino di autoeducazione, di autodisciplina, e si costruisce la sua vita e il suo lavoro in libertà, mettendosi al mondo da sé, contro il discorso dominante, contro le regole che hanno cercato di imporgli.
Ti voglio trascrivere una delle molte cose interessanti che ha detto Dubuffet: “I bambini, come i pazzi, sono fuori dal sociale, fuori dalla legge, asociali, alienati: proprio quello che l’artista deve essere. Ecco da dove viene il sapore dei loro disegni, la libertà d’invenzione che in loro troviamo, la facilità e la disinvoltura delle loro trascrizioni, il loro ardimento e soprattutto (ed è questa la chiave di volta della pittura) la forte capacità di “vedere” sul serio ciò che è dipinto, senza che lo spirito critico intervenga subito, come succede nell’adulto, nel “professionista”, a impedirlo.”
Io non sopporto i professionisti dell’arte, se un artista non sa mantenersi un po’ nell’incertezza, e in quello che i maestri buddisti chiamano “lo spirito del principiante” per me perde qualunque interesse. Rossana Campo

giovedì 15 settembre 2005

Alfredo Ghierra "un arquitecto de emociones"

Alfredo Ghierra è conosciuto nell’ambiente artistico uruguayano per i suoi disegni di città, tutti di una particolare bellezza.
La sua opera, profondamente ambigua, seduttiva e inquietante, si presenta come possibile costruzione architettonica degli affetti, del ricordo e di una memoria spaziale.
L’opera presentata in questa installazione audiovisiva è indubbiamente la più complessa tra le sue realizzazioni: l’artista mette a nudo il processo del disegno e allo stesso tempo lo nasconde, portandolo da un mero processo tecnico, a un processo pulsionale. Il disegno non sorge da una traccia che l’artista dirige, ma da pulsioni che sorgono dall’immaginazione. L’artista, in questo tentativo di mostrare e allo stesso tempo nascondere, presenta un singolare “diario di viaggio”, l’esperienza vitale che costituisce per lui la costruzione di un’opera. Allo stesso tempo, in questo processo, un’infinità di segni si sovrappongono e si annullano: l’opera finale non è dunque un polittico, ma un detrito di disegni, che fotografati uno ad uno e quindi montati, costituiscono questa animazione.

Essa si caratterizza come una finzione narrativa che intende mostrare la relazione dell’artista con due città che conosce molto bene: Montevideo e Venezia.
Per Alfredo Ghierra le città che abita sono importanti non solo per l’architettura di cui sono fatte, ma anche per le persone che le abitano, un paesaggio umano riconosciuto dall’artista che si confronta con la geografia di queste città. L’opera esprime simbolicamente questa relazione affettiva, l’architettura delle emozioni.

mercoledì 8 giugno 2005

Croce Taravella "le costruzioni della terra"

La mostra dell’artista Croce Taravella, evento collaterale alla 51. Biennale Internazionale d'Arte di Venezia visualizza un contrasto sinergico di diverse forze appartenenti ad una visione onirica e apocalittica della realtà metropolitana e desertificata dei luoghi della terra.
Il colore, i segni, le striature, i solchi, il magma, la materia, stesi complessivamente, si identificano sulla superficie della tela nella propria appartenenza e territorialità, si concatenano nel loro stridere conflittuale dando forma ad un linguaggio totale, diversificato.
Si tratta così di una trasposizione e traslazione vulcanica di una realtà piena, concitata, caotica, frenetica, e di una immobile, vuota, presente nella sua grandezza e nel tessuto astratto e convulso dell’opera che città e natura delineano. Le due realtà, apparentemente così diverse si comparano e sembrano nutrite della stessa forza.
PROGETTO CROCE TARAVELLA MDC
Le città, il loro destino, la loro carica simbolica, sono oggi al centro di un dibattito che coinvolge l'architettura, l'urbanistica, il cinema, la letteratura, la politica. Abbiamo imparato che le città salgono - com'era nell'utopia dei primo Novecento di Umberto Boccioni - ma possono anche cadere -- come si è visto a New York nel primo Duemila. Non c'è mezzo migliore della pittura, nella sua capacità di essere contemporanea, per afferrare e rendere stabile nella nostra mente uno scenario che altrimenti è rappresentato Unicamente dalla videoproduzione di massa di immagini anonime, transitorie, incapaci di durata, di racconto.
Sono già alcuni anni che Croce Taravella interpreta grandiosamente il tema della Città Dipinta, radicalizzando il fascino che questo soggetto ha da sempre esercitato sull’immaginazione dei pittori. Il suo è un progetto colossale, implicitamente infinito, geograficamente avventuroso: una specie di spettacolare ricognizione planetaria sullo spirito e sulla carne viva dei luoghi.

Dunque, prima di tutto, le capitali, le grandi Metropoli sono da lui individuate e mostrate, anche alla nostra capacità di riconoscerne l'essenza come la pelle variopinta del mondo. E soltanto il gesto libero, e a modo suo violento della pittura, sembra per Taravella in grado di intercettarne l'energia, quell'inesauribile flusso di azioni, movimenti, pensieri, paure, desideri che attraversano la nostra civiltà.
Taravella esplora le aree vuote del mondo, i Deserti, immaginati come immense zone di decompressione, di purificazione, dove il nulla si svela come una pienezza e l'occhio e la mente ristabiliscono il contatto con ciò che è nell’essenza dell’uomo.

sabato 21 maggio 2005

Effetto Doppler II

Doppler come doppio,insieme di suoni e luoghi;
suoni e spazi che si uniscono in un’esperienza musicale, ma non solo.
Il tutto calibrato/organizzato attorno alle onde d’aria e d’acqua, che alla fine diventano un’entità unica da percepire. Punto d’unione è l’ombelico in doppler, una sorta di valvola acustica/visivo DA CUI PARTONO I RIFLESSI E I RIVERBERI visual/musicali e si diffondono nei dintorni rendendoli partecipi ad una nuova esperienza comune, locale, (e quasi spirituale). Il “gate” in questione è la porta che dall’acqua entra in Spiazzi e che viceversa da Spiazzi si estende sull’acqua e dunque sulla nostra città/palude. I riflessi acustico/visivi “avvolgono” gli spazi esterni, i confini e gli Spiazzi si estendono oltre, fino a coinvolgere la comunità.

L’ idea è di porre enfasi sul concetto di gate/ponte, una finestra sull’acqua come estensione naturale di Spiazzi da cui i RIFLESSI (per dirla come de Saussure, un significante a doppio significato) acustici e visivi si propagano verso l’esterno che in questo modo diventa interno o meglio un tutt’uno.

venerdì 20 maggio 2005

Precario 'collettiva fotografica'

Dieci giovani fotografi si interrogano su un "tema tosto" come quello della precarietà, analizzato sotto tutti gli aspetti. Ognuno ha avuto infatti piena libertà nella scelta del soggetto, nel numero delle foto, nel formato e nelle modalità di esposizione delle foto. Unico vincolo il "bianco e nero", scelta obbligata dato che le fotografie verranno stampate direttamente dagli stessi fotografi nella camera oscura di Spiazzi.

domenica 1 maggio 2005

Robert Knott

Questa mostra vuole esplorare un soggetto, la biancheria stesa, che se affrontato da un veneziano potrebbe sembrare alquanto ostico. Dico questo perchè quando Robert ci ha parlato del suo progetto eravamo alquanto dubbiosi, se abiti a Venezia ne hai viste veramente "di tutti i colori" e ormai hai un occhio smaliziato nei confronti di tutto ciò che è appeso ai balconi. Un americano ha sicuramente un altro approccio, e l'attitudine di Knott è stata comunque quella del rigore delle forme ed in molti casi della ricerca di una purezza dei colori (le foto sono infatti tutte a colori). Un'altra cosa va aggiunta, ogni tanto è bene che noi italiani ci facciamo un po' osservare dagli altri, senza veli, in mutande...

La parola all’artista:
“Per cercare di mettere a fuoco i miei giornalieri vagabondaggi degli ultimi sei mesi vissuti a Venezia, ho deciso di creare una composizione fotografica su alcuni aspetti della vita veneziana, al di fuori degli usuali cliché. In mezzo alla colorata biancheria che si trova un po’ ovunque gironzolando lontano dalle grandi direttive turistiche, sono rimasto attratto dalla contrapposizione tra la spontaneità di questi fili colorati di bucato e i sottostanti particolari della città monumentale. Visitando ancora ed ancora sempre gli stessi luoghi, ho realizzato che questa biancheria, che cambia costantemente, diventa essa stessa una fondale immaginario sì ricco e vario, esattamente come gli elementi architettonici da cui pende. Spero che la vasta gamma di immagini proposte riveli qualcosa della ricchezza e varietà di questo peculiare aspetto della vita veneziana.”

domenica 17 aprile 2005

U.S.O. Unidentified Submerged Objects

Programma Televisivo che tratta di ogni fenomeno bizzarro che ha origine o destinazione finale nelle profondità marine, fluviali o lacustri. Avvistamenti di oggetti sommersi, sottomarini fantasma, animali fantastici come i kraken, le gigantesche piovre del Pacifico o i leggendari serpenti di mare.
Basi aliene sottomarine, inspiegabili fenomeni naturali, reliquie di civiltà sottomarine.
A differenza dei numerosi magazines che affollano lo scenario televisivo, USO evita la strada del riassunto di casi universalmente noti e si concentra su episodi poco noti avvenuti dietro il cortile, o meglio, dietro moli e porticcioli di periferia.
Ogni puntata monografica dura 5 minuti, parte da un recente, discusso, avvistamento in mare e si avvale della collaborazione di quotati esperti di criptozoologia ed ufologia.
Schede grafiche realizzate con tecniche miste non convenzionali quali collages, decoupage e scrittura su pellicola si occuperanno di riallacciare i fenomeni documentati con cicli mitologici, racconti marinari dell’Ottocento , historia animalium del XVI secolo.

sabato 12 marzo 2005

Giovanni Pancino e Tommaso Zammarchi "Sretan Put"

Sretan put (buon viaggio) è l’augurio rivolto al viaggiatore lungo le strade della Bosnia Erzegovina
Quello che ha accompagnato, rispettivamente nella primavera e l’estate del 2004, i viaggi di Giovanni Pancino e Tommaso Zamarchi, due giovani fotografi veneziani. A così breve distanza l’uno dall’altro, i loro lavori raccontano uno stesso paese con linguaggi visivi profondamente diversi, ma accomunati dal rigore tecnico e dalla forza evocativa. Ciò accresce l’intensità di una testimonianza straniante e coinvolgente su un territorio ancora profondamente segnato dalle ferite di una guerra rimossa dalla coscienza europea e allo stesso tempo rende omaggio alle potenzialità del linguaggio fotografico. In occasione dell’inaugurazione, due giovani storici esperti di storia dei Balcani (Eric Gobetti, dell’Università di Torino e Stefano Petrungaro dell’Università di Venezia).
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