domenica 16 ottobre 2005

Gianmaria Giannetti

Al mio amico Gianmaria guardando la sua pittura
Io credo che la pittura, proprio l’atto del dipingere e tutti i suoi materiali, le tele i pennelli i colori i solventi gli odori, le ore passate in solitudine dentro se stessi, magari con la musica anche, è una specie di droga fantastica. E una volta che l’hai provata e ti è entrata nel sangue non puoi farne più a meno. Soppianta un po’ tutti gli altri enzimi, comanda la ghiandola pineale, e come con l’eroina, il solo antidoto alla pittura è la pittura stessa.
Credo che si diventa artisti per darsi delle regole, per trovare un modo di stare al mondo secondo regole che ci diamo noi, che stanno bene a noi. Contro le regole del mondo. Un artista, come uno scrittore, se è davvero tale (se fa sul serio, se non è solo uno che passa il suo tempo a buttare giù colori su una tela o a riempire i fogli con le sue cazzate) compie una specie di cammino di autoeducazione, di autodisciplina, e si costruisce la sua vita e il suo lavoro in libertà, mettendosi al mondo da sé, contro il discorso dominante, contro le regole che hanno cercato di imporgli.
Ti voglio trascrivere una delle molte cose interessanti che ha detto Dubuffet: “I bambini, come i pazzi, sono fuori dal sociale, fuori dalla legge, asociali, alienati: proprio quello che l’artista deve essere. Ecco da dove viene il sapore dei loro disegni, la libertà d’invenzione che in loro troviamo, la facilità e la disinvoltura delle loro trascrizioni, il loro ardimento e soprattutto (ed è questa la chiave di volta della pittura) la forte capacità di “vedere” sul serio ciò che è dipinto, senza che lo spirito critico intervenga subito, come succede nell’adulto, nel “professionista”, a impedirlo.”
Io non sopporto i professionisti dell’arte, se un artista non sa mantenersi un po’ nell’incertezza, e in quello che i maestri buddisti chiamano “lo spirito del principiante” per me perde qualunque interesse. Rossana Campo
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